Teatro

Brat, Mackie Messer dei Rom

Brat, Mackie Messer dei Rom

Che con The Beggar’s Opera l’inglese John Gay avesse, nel secolo dell’illuminismo, anticipato, con straordinaria preveggenza, il degrado sociale che, oggi più che mai, porta la delinquenza minuta dei diseredati a sottomettersi, se non a soccombere, alla legge della delinquenza istituzionale dei cosiddetti colletti bianchi, fu cosa notata già oltre mezzo secolo fa da quel genio del teatro politico che fu Bertolt Brecht, che da lì trasse quel capolavoro che è L’Opera da Tre Soldi, divenuta vero e proprio manifesto della denuncia sociale comunista. Di grande appeal è quindi il progetto dei Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, che vede trasferita l’azione dell’opera settecentesca di Gay (così come di quella brechtiana) dai bassifondi londinesi di Soho alla periferia di Belgrado, dove la società di reietti, protagonista delle vicende rappresentate, è composta da serbi e rom, con i quali il regista Salvatore Tramacere ha realizzato un workshop, il cui risultato è, per l’appunto, lo spettacolo Brat (Fratello), portato in scena al Napoli Teatro Festival Italia. Si tratta di teatro laboratoriale, e questo deve essere chiaro al pubblico che affolla la sala dell’ex birreria Peroni, e come tale soffre i limiti di una recitazione acerba e di una drammaturgia non del tutto completa, che vede compattati in un’ora scarsa i tre atti dell’opera originale.

Detto questo è doveroso sottolineare che la messinscena proposta da Tramacere esercita un trascinante fascino, convincendo per eleganza stilistica ed ironia, e, come sarebbe sempre auspicabile nella didattica teatrale, per l’uso del teatro come mezzo e non come fine. Un mezzo che vede i giovani rom non professionisti confrontarsi sulla scena con i giovani professionisti serbi, in una girandola espressiva di innegabile coinvolgimento. Ottimo lo studio sul corpo, che sottolinea un’espressività giocosa e irriverente, che sopperisce all’elementarità del canovaccio testuale su cui si muovono gli attori. Da sottolineare, inoltre, l’uso del travestitismo maschile, utilizzato per interpretare le due amanti del protagonista, che evidenziano un gioco teatrale solo apparentemente ingenuo. Suggestivo ed appropriato l’uso delle musiche utilizzate ad accompagnare, dal vivo, le scene, che vedono mescolati canti popolari serbi, musica rom e Kurt Weill, il tutto in perfetta armonia con il progetto registico, che vede concludere lo spettacolo, contrariamente all’originale ed alla versione di Brecht, con il sacrificio del protagonista e la sardonica risata dei due antagonisti, rappresentanti della nuova delinquenza organizzata. Una messa in scena che conferma l’impegno della Koreja nel portare avanti un teatro civile dal giusto impegno artistico. Restano, di contro, le non poche perplessità sull’opportunità di inserire uno spettacolo come questo nella schiacciante proposta che vede, proprio nelle sale dell’ex fabbrica, confrontarsi veri e propri colossal, dalle mastodontiche messe in scena, ad opera di autori come Lepage e Stein, ma questa è un’altra storia.